‘Diagramma circolare ‘ azione scenica in due tempi, fu composta nel 1959. In questa opera Alberto Bruni Tedeschi esprime il rifiuto degli orrori della guerra e della dittatura, e lo fa cercando di recuperare un teatro totale, che si serve di tutti gli strumenti espressivi che l'uomo ha creato per la rappresentazione audiovisiva. Si tratta, dunque d'un lavoro che s'inserisce nel filone più avanzato della produzione culturale di quell'epoca.

Prima Esecuzione: XXII Festival di Musica Contemporanea,1959

Teatro La Fenice di Venezia

Regia: Virginio Puecher - Scene: Luciano Damiani

Direttore: Nino Sanzogno

In sintesi, il diagramma luminoso incombente sulla scena descrive il ciclo pressoché ventennale che s'apre con le rovine della prima guerra mondiale e si chiude con quelle della seconda. Le sei fasi fondamentali sono: produzione, superproduzione, crisi, dittatura e armamenti, querra e rovina. Al termine del ciclo si ritorna, ineluttabilmente, al punto di partenza. Alberto Bruni Tedeschi vive nell'industria, e il cielo descritto dal diagramma costituisce per lui fonte di esperienze di vita e di rapporti umani, e non solamente l'occasione per un'arlda speculazione scientifico-filosofica. Cosi nella sua opera il ciclo stesso viene presentato quasi contrappuntisticamente sotto punti di vista assai diversi, contraddittori, apparentemente inconciliabili.

Il conferenziere rappresenta la ragione cartesiana, una ragione che non può scendere a compromessi in base a considerazioni umanitarie: se la logica dice che il ciclo è destinato a ripetersi, che i protagonisti - mutati nell'identità personale ma sempre uguali nella loro funzione sociale - torneranno a compiere gli stessi atti che hanno causato il ciclo che viene presentato allo spettatore, il conferenziere non può e non deve sostituire i suoi desideri alla forza del ragionamento, non può e non deve creare illusioni con pietose bugie.

Il conferenziere è un essere odioso, disumano, ma necessario: se mai l'umanità sarà capace di interrompere l'inesorabile ciclo ciò non potrà avvenire senza la conoscenza né contro ragione. L'Autore ha creato al conferenziere un angolo tutto suo, estraneo alle passioni e alle sofferenze causate dallo svolgersi degli eventi; anche il suo linguaggio è aulico, asettico, privo di enfasi e perfino di partecipazione a ciò che sta dicendo, reso tale da un accurato lavoro di rielaborazione di Giampiero Bona.

Ma la vita dell'uomo non è solo ragione: ci sono le ambizioni, c'è l'elementare necessità di sostentamento, ci sono le forze scatenate dall'attività umana che diventano più grandi di ogni capacità di controllo da parte dell'uomo, forze che, nate come manifestazione di vitalità, finiscono per diventare causa di morte generalizzata, di distruzione totale. Anche l'‘uomo’ è un'astrazione: l'uomo cambia col cambiare delle condizioni storiche; nel mondo capitalistico c'è il Presidente, c'è l'operaio, incombe anche se non presente il politico. Il Presidente del Consiglio d'amministrazione non è, come il conferenziere, al di sopra delle parti. Egli è, al contrario, parte in causa, si accende d'entusiasmo, difende il suo ruolo e le idee che ne derivano, si preoccupa, gioisce per le vittorie ed è annichilito dalla sconfitta. Di fronte alla solitudine del Presidente sta l'inscindibilità dell'operaio dagli altri, compagni di disoccupazione o di lavoro o membri della famiglia il cui pane dipende dalla sua occupazione e dal suo guadagno. Ciò che Presidente e operaio hanno in comune è l'intraducibilità del reciproci linguaggi, frutto della reale opposizione dei loro interessi: per il Presidente la chiusura dell'officina 12 può essere una necessità ineluttabile, cosi come la necessità di dare da mangiare al figli è ineluttabile per l'operaio; se l'uno non può bruciare le tappe l'altro non può aspettare, e ciascuno esprime delle idee che sono in fondo la razionalizzazione delle rispettive necessità. L'operaio si suicida, il figlio è ucciso dalla polizia per aver ‘complottato contro la sicurezza dello stato’, la madre morrà sotto le bombe della guerra: ma ci saranno ancora sempre operai che lavorano a un ritmo disumano durante il periodo della superproduzione o degli armamenti, e operai ridotti alla disperazione nel periodi di crisi, una spontanea ideologia ribellistica nell'operaio, una spontanea anteposizione dell'‘ordine’ ad ogni altro valore nel Presidente.

E intanto il ciclo si svolge inesorabile: il ritmo produttivo cresce a dismisura, e proprio a causa di questo ‘benessere’ scoppia la crisi, la distruzione delle ricchezze prima create senza tener conto della loro reale necessità; poi la dittatura consente una certa ripresa, ma questa sposta la crisi sul piano del rapporto tra le nazioni, conduce fatalmente alla guerra, a nuove distruzioni, a nuove rovine, al ritorno del diagramma circolare al punto di partenza, pronto a interpretare un nuovo cielo di produzione, di crisi, di guerra. Ma a questo punto la situazione drammatica si toglie da questo sviluppo che sembra fatale. Sia pure per breve tempo, la figlia dell'operaio siede al posto del Presidente e propone la ricerca delle cause e della responsabilità di tutte quelle inutili rovine, di tutti quel vani sacrifici di energie e di vite umane. Il conferenziere ammonisce a non far prediche inutili, né processi a persone che hanno agito nell'unico modo che era loro possibile. Ci sono stati errori, oppure tutto era, è, per sempre, inevitabile? Nella sostanza la legge espressa dal diagramma è rigorosa. Però l'uomo può, ciascuno per quanto lo riguarda, solidalmente con tutti gli altri, interrompere il diagramma allo ‘scatto bellico’, sostituendogli la ‘preveggente, altissima ragione’. E forse è emblematico il fatto che il coro chiuda l'ultima delle sue lamentazioni con la parola ‘salvezza’.

Gli uomini veri soffrono, dunque, muoiono, e il musicista soffre con loro e per loro pur non dimenticando che tutto ciò che avviene è in larga misura inevitabile. C'è, perciò, un aspetto della musica che solidarizza coi protagonisti, un aspetto che addirittura si identifica con loro (non si dimentichi che tutti i personaggi si esprimono parlando); un aspetto, infine, che al contrario tende a presentare le situazioni in modo oggettivo, neutrale. Come il dramma vive del violento contrasto tra realtà e razionalità, cosi la musica a volte sfiora i confini del rumore, della riproduzione realistica del fatti sonori di cui si tratta, a volte è una razionale architettura contrappuntistica obbediente a leggi rigorose, a volte è la voce del dolore umano (lei sei ‘lamentazioni’ corali), più spesso è un rapido avvicendarsi e un inestricabile intrecciarsi di tutte queste cose. In due casi - poi - la musica dà voce al personaggi dall'apparenza meno musicabile del mondo: tre agenti di cambio e tre professori di statistica. In entrambi i casi esce dalla bocca di quegli inconsueti personaggi una profezia di catastrofe, profezia che puntualmente si avvera. Il dramma, che lo spettatore vede, vive e sente attraverso le parole, le riprese filmate, i rumori registrati, ha una sua puntuale rispondenza in una musica che ora contrappone ora integra il senso della forma al desiderio di espressione elementare, primordiale, sì che il severo discorso contrappuntistico fa tutt'uno col vitalismo percussivo e con la cantabilità ingenua, o coi sussurri a punta d'arco. Il termine ‘contrappunto’, che tradizionalmente indica il canto a più voci, dilata il suo significato fino a quello di concertazione di fatti visivi e di fatti uditivi, di musica e di rumore, di luci e di esplosioni realistiche. C'è il sibilo e lo scoppio delle bombe, il pulsare vieppiù inesorabile delle macchine, il drammatico crollo delle azioni alla borsa di New York che ‘contrappunta’ le speculazioni scientifiche degli agenti di cambio che fanno venire i brividi per la loro ‘neutralità’ che rimane impassibile di fronte alla catastrofe, e a loro volta contrappuntano l'informazione sugli eventi fornita con la solita brutale oggettività dal conferenziere. E’ uno dei tanti esempi di questo contrappunto in senso lato di cui l'opera tutta è permeata.

La musica, benché parte inscindibile d'un disegno più vasto, ha una sua validità intrinseca, eppure non si può scindere dall'azione scenica: Diagramma circolare è un messaggio, che si può accettare cosi com'è o rifiutare, ma che fuori di dubbio costituisce una testimonianza che non si può ignorare o sottovalutare.

Carlo Parmentola

IL LIBRETTO

Ad illustrazione del proprio assunto il conferenziere invita il pubblico a considerare un grande Diagramma Circolare diviso in sei parti. Esse stanno a significare congiunture economiche diverse l'una dall'altra generate e riunite in un ciclo chiuso e totale. Le parti sono: produzione, superproduzione, crisi, dittatura ed armamenti, guerra, rovina. In questo ciclo il valido principio che varia l'esistenza degl'lndividui, si può dimostrare, prendiamo ad esempio una famiglia di operai nel periodo seguito alla guerra negli anni 1915-1918. Dapprima è la disoccupazione per il capo famiglia ma presto la macchina della produzione si rimette in moto ed egli viene riassunto nella sua vecchia fabbrica. Gradatamente il ritmo della produzione aumenta fino a diventare vertiginoso ed a sfociare nella superproduzione. Si arriva al 1929, l'anno tragico turbato da tribolazione e rovina, principio della grande crisi e della grande depressione. Da Wall Street parte l'annuncio della morte del mondo economico. Tanto inesorabile e terribile è lo sconvolgimento che innumerevoli industrie si frantumano e vanno in polvere, fortune favolose spariscono nel nulla e il mondo in disperata attesa incomincia a tremare preda dell'anarchia e del disordine. Nelle fabbriche i licenziamenti si rendono necessari, anche il nostro operaio viene licenziato, ma le perdite si moltiplicano, crescono ancora. L'unico rimedio è arrestare la produzione. Il silenzio discende sull'officina. Il profondo silenzio, la morte del lavoro e delle macchine, il pauroso silenzio delle officine vuote in cui la vita si è spenta. L'operaio, perduta ogni speranza, si suicida. La crisi del 1929 segna l'inizio dell'intervento dello Stato negli affari del suddito. Si instaura la dittatura, salutata però con gioia dal Presidente della Società industriale convinto che essa segni la fine della crisi economica. Infatti presto gli stabilimenti riaprono le porte: li attende nuovo lavoro, nuova prosperità. L'unica resistenza alla dittatura è ora rappresentata dal figlio dell'operaio suicida che in un drammatico colloquio con il Presidente della società rivela le proprie idee. Anche il figlio di lì a poco viene abbattuto dalla polizia di Stato, ed intanto la produzione viene incrementata grazie al nuovo piano di armamenti affinché il Paese possa affrontare anche la più seria eventualità di una guerra. Ancora il ritmo di produzione cresce spasmodicamente. Scoppia la guerra. L'officina e la casa dell'operaio vengono distrutte, ed uccisi rimangono il Presidente e la madre. Unica superstite della famiglia di operai è ora la figlia. Ma se il suo corpo è vivo, il suo cuore e la sua mente sono preda di un'inerzia mortale. Ella erra ormai in dimensione ignota, là dove la felicità si potrebbe identificare con la totale incomunicabilità e cioè in una demenza solitaria e tristissima. Ad essa si uniscono le ombre del morti a dar voce all'angoscioso interrogativo circa il senso del loro sacrificio. Mentre il ciclo economico tragicamente concluso nuovamente si riapre, il conferenziere trae le sue conclusioni: tutto quello che è stato per il passato ed è per il presente, sarà ancora per il futuro. Ma si mutano i nomi e la superficie delle cose in modo che chi non ha un orecchio buono non li riconosce e non sa essere giusto a sufficienza per poterlo affrontare. Tuttavia, ammonisce il conferenziere, non bisogna per poter vivere ricorrere alla macchina infernale della guerra, ma bisogna che gli uomini, interrotto con tutti i mezzi in loro potere, il ciclo del Diagramma, sostituiscano allo scatto bellico quello della preveggente, altissima ragione.